Ecco cosa non va nella formazione in Sicilia. Parola di Gianni Bocchieri, ragusano, dirigente Regione Lombardia

Il settore della formazione professionale in Sicilia continua ad avere problemi, tra Avviso 8, ricorsi, interventi della magistratura, chiusura di numerosi enti della formazione. Riprendiamo da Livesicilia.it una recente intervista rilasciata da Gianni Bocchieri, ragusano d’origine, a capo del delicatissimo dipartimento della Formazione della Regione Lombardia. Con gli occhi di chi guarda da Milano senza mai aver dimenticato la Sicilia e Ragusa (dove torna spesso), Bocchieri offre un oggettivo e valido punto di vista. 

A seguire l’intervista tratta da Livesicilia.it
http://livesicilia.it/2017/09/09/regione-sicilia-formazione-bocchieri-dirigenti-lombardia_886489/

PALERMO – “La Sicilia non è buttanissima per colpa del suo Statuto, ma proprio perché non si riesce a sfruttare davvero le potenzialità dell’Autonomia”. Gianni Bocchieri guarda all’Isola da lontano. È lui, ragusano d’origine, a guidare l’importante dipartimento Formazione e Istruzione della Regione Lombardia. Un impegno che ha suscitato recentemente anche la curiosità e l’apprezzamento del Movimento cinque stelle, che ha indicato il burocrate, che si dice “lontano dal M5S”, come uno degli esempi da seguire nell’Isola.

Come le appare, da Milano, la “sua” Sicilia?

“Da Milano la Sicilia mi appare come appare il Brasile ai calciatori carioca che giocano all’estero e che soffrono di “saudade”. La stessa che il musicista Gilberto Gil, ex Ministro della Cultura, definisce come ‘struggente presenza di un’assenza’, quella nostalgia che non si limita alla commiserazione ma che diventa azione e che ti spinge a fare di tutto per tornarci, per rivedere le persone care, per rivivere certe sensazioni. La cosa più brutta però è che mi sembra che di questa stessa “saudade” soffrano anche molti siciliani rimasti in Sicilia”.

Nel senso di una condizione malinconica, della consapevolezza di un malessere al momento inestirpabile. Qual è l’aspetto più preoccupante, per un siciliano che guarda l’Isola da Milano?

“A fronte dei positivi dati di crescita del PIL regionale nel 2015 (+2,1%) e nel 2016 (+1,3%), l’aspetto più preoccupante mi sembra quello restituito dal bilancio sociale dell’Inps Regionale che dipinge una Sicilia che si spopola: in soli due anni la popolazione residente è diminuita di quasi 18 mila unità, con una riduzione che ha riguardato tutte le province siciliane con la sola eccezione della provincia di Ragusa a dimostrazione che si tratta di un fenomeno diffuso su tutta l’Isola”.

La fuga dall’Isola, insomma. Come termometro di questo malessere. Altri elementi allarmanti che scaturiscono da quel documento?

“Penso ad esempio al fatto che l’invalidità civile tende a diventare la principale prestazione sociale, le pensioni erogate calano, la disoccupazione totale supera ancora il 20 per cento e quella giovanile supera il 50 per cento, la media dei laureati trentenni è solo del 18 per cento, inferiore di 8 punti rispetto a quella nazionale, oltre la metà delle famiglie siciliane vive con meno di 18 mila euro all’anno contro la media nazionale di circa 30 mila euro”.

I temi del lavoro e dell’occupazione sono sempre quelli più urgenti. Come intervenire?

“Il lavoro non si crea per legge. Ma è pur vero che in Sicilia non c’è un mercato del lavoro fluido e trasparente, con servizi all’impiego efficaci capaci di intermediare tra domanda ed offerta di lavoro anche solo per sfruttare meglio i bonus per le assunzioni. Con le sue competenze legislative esclusive, la Regione potrebbe anche adottare un modello in deroga a quello disegnato dal Jobs Act nazionale che non sta proprio brillando quanto a risultati in termini di occupazione”.

In questo senso che ruolo ha il sistema di istruzione e formazione nell’Isola?

“Decisivo. Serve un sistema capace di fornire quelle figure professionali necessarie alle imprese del territorio. Ancora una volta, la prossima settimana in Sicilia non suonerà la campanella per quegli studenti che hanno scelto un percorso diverso dai licei e dagli istituti tecnici statali, quei giovani che hanno una vocazione diversa, quelli di cui San Giovanni Bosco diceva che ‘hanno l’intelligenza nelle mani’. Un fatto difficilmente giustificabile anche perché questi giovani rischiano di restare fuori da ogni circuito formativo o lavorativo, pur ancora giovanissimi ed in età da obbligo d’istruzione”.

Un segno ulteriore del fallimento del sistema-formazione. Dagli scandali allo stallo: si potrebbe sintetizzare così la parabola degli ultimi anni?

“Certamente, bloccata dalla logica assistenziale e di mantenimento dello status quo, la formazione professionale non è riuscita a dotarsi di un modello funzionante. Ancora oggi sconta i retaggi di un sistema che non garantisce un’offerta formativa diffusa sul territorio. Al contrario, bisognerebbe superare ogni approccio surrettiziamente assistenzialista che è destinato a fallire ed a far fallire anche gli enti di formazione”.

Un quadro a tinte scurissime. Da dove si dovrebbe partire allora per mettere in piedi questa Regione? Serve anche un cambiamento culturale? In quale direzione?

“Ormai mi sono convinto che chi sostiene che sia necessaria la svolta culturale, semplicemente cerca di precostituirsi un alibi, perché rischia di essere un modo per dire che qualunque altra cosa si pensi di fare non serve a nulla se non c’è un cambiamento di mentalità, che nessuna politica sarà sufficiente a cambiare le cose”.

Non è così?

“In effetti, chi può avere la forza di dire basta con le vecchie misure assistenziali, basta con la logica dei lavoratori socialmente utili, del lavoro creato per decreto? Però, sarebbe già un fatto eccezionale se arrivasse la proposta di un progetto di sviluppo sostenibile basato sulle potenzialità del territorio, anche perché l’eredità dell’industrializzazione di Stato degli anni ’50 è sotto gli occhi di tutti, ancora, con la recente crisi del petrolchimico di Gela. Visto che non facciamo fatica a sentirci gattopardianamente i migliori, cerchiamo di esserlo davvero proprio dove lo siamo veramente”.

Come si fa?

“Dobbiamo provare a far diventare la nostra ‘Sicilia bedda’ una meta turistica pienamente inserita nei circuiti mondiali. Mettiamo in rete il nostro patrimonio culturale ed archeologico, facendo diventare l’Isola un museo a cielo aperto, magari accessibile con un biglietto unico, acquistabile con un’app. Costruiamo una filiera che comprenda anche le nostre eccellenze enogastronomiche, per la rinascita anche delle nostre campagne”.

Lei prima accennava alle prerogative e alle potenzialità dello Statuto siciliano. Secondo lei l’Autonomia ha fatto del bene alla Sicilia?

“Parafrasando Buttafuoco, la Sicilia non è buttanissima perché ha lo Statuto speciale. Non a caso, l’Autonomia siciliana è stata indicata da Roberto Maroni come il modello di riferimento per il referendum lombardo del prossimo 22 ottobre, come la più avanzata forma di federalismo in Italia. Piuttosto che chiederne l’abrogazione come grida Pietrangelo, occorre chiederne la piena attuazione perché lo Statuto speciale deve finalmente servire a liberare energie che la Sicilia ha e non a costruire una burocrazia ipertrofica ed autoreferenziale, che soffoca tutto come un blob indistinto”.

Bisogna intervenire quindi anche sulla burocrazia? In che modo?

“Non è solo una questione di costi, di numerosità di dipendenti, quanto di capacità di valorizzare le specificità dell’Isola esaltandone le potenzialità”.

Questa politica, che si ripropone in molti casi con i soliti nomi, è in grado secondo lei di imprimere questa svolta, di provocare un vero cambiamento?

“Non credo che sia la riproposizione in sé il male. Per la situazione che si troverà ad affrontare, credo che chiunque vinca le elezioni dovrà per forza cercare la svolta e dovrà farlo cercando di costruire una nuova classe dirigente, coinvolgendo persone molto valide non restie al cambiamento”.

Lei dirige un assessorato che si occupa di Istruzione e Formazione: che idea si è fatto della ‘discesa in campo’ in questa competizione elettorale di un rettore in carica, di un ex rettore e di alcuni docenti universitari?

“Mi sembra quasi naturale che l’urgenza di formare una nuova classe dirigente sia avvertita da chi ne ha già avuto la responsabilità in altri ambiti. Non è sicuramente la prima discesa in campo dei professori a cui assistiamo e non tutte sono state positive. In ogni caso, possiamo sperare che il loro rigore accademico li assista anche nella loro attività politica”.

Il candidato grillino Giancarlo Cancelleri ha chiaramente fatto riferimento a lei, parlando di ‘modelli virtuosi in Lombardia che il M5S vuole importare in Sicilia’. Che effetto le ha fatto?

“Pur non essendo vicino al Movimento, non posso che apprezzare l’incontro con Giancarlo Cancelleri, che si è mostrato interessato ad approfondire le modalità di funzionamento del modello lombardo di formazione e lavoro, che si colloca nel solco di modelli liberali, ed ad analizzarne i motivi del suo successo”.

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