A 70 ANNI DALL’ APERTURA DEI CANCELLI DI AUSCHWITZ

Pochissimi giorni fa, in una mattina piovosa e grigia, ho incontrato, con immenso piacere e per l’ennesima volta, il Capitano Salvatore Di Quattro. Mi ha subito sottolineato che, nonostante raffreddore e maltempo, non poteva mancare all’appuntamento con me. Del resto, ha aggiunto con un sorriso, mi aveva dato la sua parola.

Ci siamo conosciuti 4 anni fa, al rientro dal mio viaggio in Polonia con i miei studenti. Ci siamo ritrovati, qualche mese dopo, per la presentazione del mio libro QUEL TRENO PER LA POLONIA, edito dalla casa editrice “Operaincertalibri”. In quell’occasione, lui è stato ospite d’onore e ha raccontato con una memoria più che mai lucida e con dettagli storici il suo vissuto impossibile da dimenticare. Da allora, ci siamo incontrati diverse volte sia in Prefettura, come ospiti per la “Commemorazione della Giornata della Memoria” che nella sede della  ”Casa del Combattente e dei Reduci” di Ragusa

Le conversazioni con il Capitano sono per me sempre molto preziose, fonti di arricchimento non solo a livello storico-culturale ma anche e soprattutto per la mia anima.

In quest’ultimo incontro, mi ha poi onorata ed emozionata dicendomi: “Dottoressa, da oggi lei è socia della nostra “Associazione Combattenti e reduci di guerra”. Un regalo che, a mio avviso, non ha prezzo. Dopo di che ha parlato a ruota libera per oltre un’ora, rispondendo a qualche mia curiosità.  Nonostante i suoi 94 anni, ricordi sempre vividi, tramati da profonda emozione nel rievocarli,

Partito nel 1940, perché chiamato alla leva, si è ritrovato a combattere, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nelle trincee italiane per poi essere mobilitato in Grecia: da Atene a Tripolis, nel cuore del Peloponneso, per arrivare a sud, esattamente a Kalamata, al comando di una Compagnia.

A Kalamata mi sono trovato benissimo e una delle cose che mi emozionava particolarmente e che ricordo con molto piacere- ricorda con tenerezza il capitano- era partecipare all’ammaina bandiera.”

Dopo l’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, mentre il capitano Di Quattro e i suoi uomini operavano ad Aighion, tra Corinto e Patrasso, per stanare i partigiani greci, sono arrivati i tedeschi che volevano attaccare la Compagnia italiana poichè era sopraggiunto l’ordine dal loro Comando . Gli italiani, rei di essere venuti meno al patto di alleanza con la Germania, erano diventati acerrimi nemici. Grazie ad una particolare strategia diplomatica, si è arrivati ad un accordo: gli italiani avrebbero consegnato le armi e, in compenso, i tedeschi li avrebbero riportati in Patria.

Gli accordi, però, non sono stati rispettati. Gli italiani, fra cui il capitano, non sono stati ricondotti in Patria; piuttosto, caricati su carri bestiame, hanno attraversato la penisola balcanica, passando dall’Ungheria, per giungere in Prussia orientale dove sono stati collocati in un grandissimo capannone. In seguito, da qui hanno ripreso il cammino per arrivare in Polonia, dove sono stati rinchiusi nel lager di Benjaminowo. Infine, sono stati trasferiti nel campo di prigionia di Sandbostel, vicino Brema, in Germania.

Freddo e fame sono stati costanti e atroci compagni dei prigionieri. Pertanto, i tedeschi hanno reiteratamente dato la possibilità agli ufficiali italiani di arrendersi e di aderire alla Repubblica di Salò, ma essi si sono rifiutati sempre con grande coraggio e senza indugio. Il loro NO è ciò che colpisce e commuove perché si è trattato di una rivolta senza armi, una lotta impari contro i nazifascisti. I sottoufficiali e le truppe, invece, sono stati costretti, dopo un iniziale rifiuto, al lavoro coatto per sostituire la manodopera tedesca impegnata sui vari fronti di guerra.

A Sandbostel, assieme al capitano, sono stati internati  personaggi noti come Giovannino Guareschi (giornalista, scrittore , autore della famosa serie televisiva “Don Camillo e Peppone”),  e il noto attore Gianrico Tedeschi che, proprio in questo lager, ha interpretato per la prima volta la parte di “Enrico IV” dell’omonima opera di Shakespeare. Grazie anche a queste figure di spicco, anime intrattenitrici delle baracche, il peso della prigionia è stata talvolta più lieve e sopportabile. Ma solo con la liberazione, ad opera delle truppe alleate, il Capitano è riuscito a rientrare in Italia, con vari mezzi di fortuna, sebbene le sue condizioni di salute non fossero affatto buone.

I militari internati furono circa 650.000 e più di cinquantamila persero la vita a causa della fame o della tubercolosi, per sevizie ed esecuzioni sommarie o sotto i bombardamenti

Diceva Giovannino Guareschi, dopo il rientro in Italia: «Ho dovuto fare di tutto per sopravvivere, tuttavia, tutto è accaduto perché mi sono dedicato ad un preciso programma che si può sintetizzare con uno slogan: “Non muoio neanche se mi ammazzano”»

A distanza di 70 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz e dalla liberazione, è opportuno legare il passato al presente, guardando al futuro, il che è un insegnamento che deve basarsi sull’impegno e sulla resistenza contro i preconcetti. Ricordare vuol dire fortificare, soprattutto nei giovani, il significato di “rispetto” delle differenze e delle diversità e battersi, proponendosi come agenti attivi di cambiamento della società,

Occorre comprendere che l’attualizzazione della Shoah risiede nel trattare con responsabilità e vigore le tragedie che si consumano nella nostra contemporaneità. Un pensiero, a tal proposito, va ai lavoratori precari e ai disoccupati il cui numero, in questi ultimi tempi, si è notevolmente ingigantito, al pericolo di un ritorno al nucleare, alle vittime uccise dalla mafia e da tutti quelli freddati dalla volontà dei potenti e di chi agisce in nome di Allah.

Non è importante commemorare in un solo giorno, quello istituzionalizzato ai sensi della Legge 211 del 20 luglio 2000, ma richiamare al cuore, sentire profondamente che qualcosa di davvero catastrofico è avvenuto; quindi, ogni attimo, ogni momento è buono e opportuno per prendere coscienza ed agire di conseguenza.                                                                                                                            I milioni di persone finite nel fumo…esse sì… ci interpellano sempre e ci ammoniscono.                         “Ne plus jamais” recita una scritta all’ingresso del campo di Dachau. MAI PIU’!!!

 

                                                                                                               Marinella Tumino

 

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