LA RIVOLUZIONE DEL VERISMO

                                       

La Letteratura Italiana, così come la inquadrano i manuali in uso nella scuola, procede  per triadi   di “maggiori”. Dante, Petrarca, Boccaccio; Machiavelli, Ariosto, Tasso; Goldoni, Parini, Alfieri ; Foscolo, Leopardi,  Manzoni.

Abbiamo percorso sei secoli in poche righe, omettendo il Quattrocento e il Seicento in cui , a giudizio degli autori di manuali , mancano i “maggiori”.

Inoltre su dodici  “maggiori”  citati solo quattro sono famosi per le loro opere in prosa.

 Ma, si sa, la Storia della Letteratura Italiana è soprattutto Storia della Poesia Italiana, la prosa è stata considerata (arbitrariamente) di minore importanza.

(Gli autori di manuali dovrebbero leggersi “Storia confidenziale della Letteratura Italiana” di Giampaolo Dossena  per  rendersi conto di quanti pre-giudizi cioè giudizi preconfezionati hanno trasmesso a generazioni di studenti, il più delle volte senza nemmeno la conoscenza diretta  delle opere, tranne qualche modesto stralcio antologico).

Rivedendo velocemente i dodici nomi testé elencati, ci accorgiamo che appartengono tutti ad un’area geografica e, quindi, culturale centro-settentrionale.

Dopo la Scuola Poetica Siciliana del Duecento, a cui si deve la nascita della poesia lirica in una lingua neo-latina dell’area italica, e a cui i poeti toscani si ispirarono, bisogna, dunque, arrivare alla seconda metà dell’Ottocento per avere dei Siciliani, Verga,Capuana e Pirandello, che si possono considerare a pieno titolo, fra i “maggiori” della Letteratura Italiana, non solo per il valore delle loro opere, ma per la rivoluzione copernicana che hanno operato nella narrativa e nel teatro, facendoli uscire finalmente dal chiuso delle accademie e dai canoni del classicismo a tutti costi, sia per quanto concerne le scelte linguistiche, sia per l’assoluta novità dei contenuti.

Verga e Capuana hanno inventato il Verismo che,  pur dovendo qualcosa allo spirito positivista dell’epoca e al Naturalismo francese, se ne discosta, assumendo la fisionomia di un movimento italiano, anzi siciliano, originalissimo, un movimento che ha segnato indelebilmente e irreversibilmente la Narrativa , il Teatro,e , successivamente, anche il Cinema del secolo scorso.

Verga e Capuana, creando la poetica del Verismo, hanno sfidato l’incomprensione dei contemporanei,  fermi alla lezione manzoniana, l’irrisione e il disprezzo della critica militante.

“I Malavoglia hanno fatto fiasco, fiasco pieno e completo.. “ scrive lo stesso Verga all’amico Capuana che, a sua volta, quando pubblica “Giacinta” è accusato di immoralità.

La lingua creata dal Verga per riprodurre la struttura sintattica e la musicalità del dialetto siciliano, senza essere incomprensibile al di là dello Stretto,viene giudicata frutto di ignoranza dello scrittore stesso e dei maestri avuti durante la sua adolescenza.

Era ancora d’obbligo usare per la narrativa,come aveva fatto Manzoni, “il fiorentino delle classi colte”!

Ma ve li immaginate i pescatori di Trezza e Mastro Don Gesualdo che toscaneggiano?

“I Malavoglia” sono stati apprezzati a partire dal saggio di Luigi Russo del 1919, ed erano stati pubblicati  nel 1881!

Si parla di “brevissima” (un decennio circa) stagione del Neorealismo italiano che riprende la lezione verista per narrare in maniera scarna e obiettiva episodi della guerra o della lotta partigiana, ma a tutt’oggi non c’è narratore o sceneggiatore che , per rappresentare il più realisticamente possibile la vita della gente comune, non sia costretto a ricorrere ad un impasto linguistico molto simile a quello verghiano! Solo così è possibile tentare di riprodurre il linguaggio corrente di italiani di ogni regione che non è certamente quello che passa attraverso la consultazione di dizionari e grammatiche! Cioè quella lingua artificiale e asettica che cerchiamo di insegnare nelle scuole.

La rivoluzione linguistica che dobbiamo al Verismo ha permesso alla Letteratura italiana di superare quell’accademismo che la teneva lontana dal lettore comune, quando le letterature di altri paesi europei avevano già al loro attivo romanzi di alto livello e di ampia diffusione.

 Scrive in proposito Andrea Camilleri:

Nel ’67 ebbi una crisi. La crisi era che mi ero stufato, mi era venuto un senso di  rigetto verso il raccontare storie d’altri con parole d’altri.

Pensai :- Ora scrivo una cosa mia-

……Allora decisi di scrivere una storia il cui protagonista era un mio zio. Cominciai a scriverla, se non che non mi tornava, non mi tornava per niente perché non riuscivo a dire quello che volevo dire adoperando l’Italiano che avevo adoperato per i miei raccontini precedenti…E così scrissi le prime pagine del “Corso delle cose “… non tornavano.

Un giorno mio padre stava molto male, era in clinica, non sarebbe più uscito. Lo andai a trovare .

“Ti vedo nirbuso: Che hai?”

“Papà sto circannu di scrivere un romanzo, ma nun mi veni”

“Un romanzo? Cuntammillu”

Glielo raccontai. Tornando a casa riflettei su questo episodio. Come l’avevo raccontato a mio padre? Glielo avevo raccontato in parte in siciliano e in parte in italiano. Perché avevo fatto istintivamente questa operazione? Questo non era  un mio peculiare modo di raccontare, era semplicemente il modo di parlare della piccola borghesia siciliana; noi, a casa nostra, parlavamo in quel modo.”

Ecco come è nato il tipico impasto linguistico degli scritti di Andrea Camilleri a cui si deve il loro grandissimo successo.

Quello che mi incuriosisce è come fanno parlare il Commissario Montalbano nelle varie lingue dei numerosi paesi del mondo a cui gli episodi della fiction sono stati venduti?

Cioè come fanno con i sottotitoli (dato che il doppiaggio è una peculiarità tutta italiana)  a rendere l’impasto linguistico di Camilleri?  Il quale Camilleri, non dimentichiamolo ha definito “Terra matta” del nostro Vincenzo Rabito: ”Cinquant’anni di storia italiana patiti e raccontati con straordinaria forza narrativa. Un manuale di sopravvivenza involontario e miracoloso

Un’opera scritta in una lingua orale impastata di “sicilianismi”come l’ha definita la giuria che le  ha assegnato nel 2000 il premio “Pieve – Banca Toscana.”

Il Siciliano è una lingua meravigliosa, ce ne accorgiamo quando ci sforziamo di tradurre in Italiano una parola, una frase , un’immagine di grande incisività e ci cascano le braccia!

Cerchiamo di non privare le generazioni future della conoscenza di questa nostra lingua, partendo dall’erroneo assunto che chi si esprime in dialetto non saprà parlare e scrivere bene in Italiano.

Caso mai è vero il contrario. Nella mia esperienza di insegnante ho visto ragazzi a cui era stata preclusa la conoscenza del dialetto che non sapevano mettere  in fila tre parole in Italiano.

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it