QUANDO MARINA DI RAGUSA ERA MAZZARELLI

Il nome di Mazzarelli fu cambiato in Marina di Ragusa nel 1928  con Regio Decreto, ma solo negli anni Sessanta abbiamo cominciato ad usare nel linguaggio corrente il nuovo nome.

Nel dopoguerra , per andare e’ Mazzaredi  bisognava ricorrere al taxi e, per trasportare le suppellettili per il periodo della villeggiatura in casa d’affitto, ad un furgone.

Il viaggio in furgone, in mezzo alle reti, ai materassi, alle pentole, alle sdraio, per noi bambini, era una cosa bellissima.

Per i Ragusani amanti della villeggiatura balneare  Marina allora esisteva solo dal 15 Luglio al 15 Agosto. Il 16 Agosto, dopo una notte insonne, perché dedicata a festeggiare il  Ferragosto, si facevano i bagagli e si lasciavano le case in cui si erano trascorsi quindici giorni o, per chi se lo poteva permettere, trenta giorni.

Solo alcune famiglia aristocratiche avevano la casa di proprietà in cui, per il clima mite, trascorrevano più volentieri l’inverno che l’estate.

Non c’erano l’acqua corrente, l’illuminazione elettrica, la fognatura.

Era asfaltata solo la Via Dandolo , denominata “u stratuni”  perché era la parte iniziale  della strada che andava verso Ragusa.  La Via Dandolo finiva all’altezza di un posto denominato, non so perché,  ‘nti Casciuolu,  che una mia amica, per evitare di parlare in dialetto, traduceva alla lettera “da Cassetto”.

La via del Mare finiva dietro la chiesa, e anche il paese finiva lì e cominciava la campagna con gli alberi di carrubo, all’ombra dei quali in estate le massaie preparavano la passata di pomodoro. Siccome quasi sempre, nei primi  anni cinquanta, affittavamo casa vicino alla chiesa, trascorrevo i pomeriggi sotto un carrubo a guardare con grande interesse l’accensione del  fuoco con gli sterpi e  il procedimento della cottura dei  pomodori, continuamente rimestati in enormi calderoni.

Piazza Duca degli Abruzzi, l’unico posto in cui si poteva trascorrere la sera, era uno sterrato in cui la mattina i pescatori riparavano le reti,  e, per l’illuminazione, venivano issate all’imbrunire due lampare.

Il resto del paese era al buio, ma cieli così pieni di stelle in vita mia non ne ho visti più!

Il villaggio finiva ad est dove c’era il pozzo e adesso  c’è la libreria Ubik, e dal lato opposto dove c’era la caserma della  dogana. Le stradine in salita si fermavano più o meno all’altezza della chiesa. Quasi tutte le strade erano attraversate da rigagnoli.

Le case che prendevamo in affitto erano piuttosto scomode, e abitate da enormi scarafaggi di colore marrone, molto diversi da quelli residenti a Ragusa, più piccoli e neri. Ci si lavava facendo i bagni di mare, che allora non era inquinato.

I servizi igienici rivelavano tutta la fantasia dei padroni di casa. Ne ricordo uno con due porte, una per  i villeggianti e una per i padroni di casa, per cui di volta in volta bisognava ricordarsi di chiuderle col “princo” tutte e due. Comunque la padrona di casa ci aveva assicurato che di questa toilette si servivano sole le donne, i loro uomini andavano dove c’erano gli alberi di carrubo.

Una volta prendemmo una casa in via Pozzallo. Era piccola ma carina e pulita. Quando la visitammo per affittarla notammo in cucina un mobiletto bianco, ci sembrò una ghiacciaia, cioè un armadietto in cui si metteva il ghiaccio e le bevande da tenere al fresco, perché all’epoca  non c’erano i frigoriferi. Mia madre chiese alla padrona di casa dove fosse il “servizio igienico” e la signora aprì gli sportelli anteriori e superiori della presunta ghiacciaia e ci mostrò il gabinetto. Nulla da eccepire, era pulitissimo, solo che “in casi urgenti” si proclamava il “Tutti fuori !” anche durante la preparazione e la consumazione dei pasti!

L’ultima “toilette” particolare che ricordo era situata in un piccolissimo sottoscala senza illuminazione, dove ,a parte le difficoltà di “sistemazione” per le persone sovrappeso, c’era il rischio di ritrovarsi addosso qualche animaletto indesiderato… Ma di tutti questi disagi non ci accorgevamo neppure.                                                        

Tutto  quello che importava a noi bambini era stare in acqua il più a lungo possibile, lottando contro le regole imposte dai genitori.

“Devono passare tre ore dalla colazione, prima di fare il bagno!”  “Ma ci vogliono tre ore per digerire mezza granita e un panino?(questa era la colazione che al mare sostituiva la zuppa di latte)”  “Quando la pelle delle mani si raggrinzisce, bisogna uscire dall’acqua!” “Ma perché, se uno in acqua ci sta proprio bene ?”

Intanto a metà degli anni cinquanta Mazzarelli cominciò a cambiare e divenne veramente Marina di Ragusa. Illuminazione elettrica, fognature, strade asfaltate, lungomare,il  Miramare che negli anni sessanta ospitò Ornella Vanoni e poi Patty Pravo, la Rotonda con il  juke box che si sentiva da tutto il paese, la Notte, in cui una volta venne a cantare Bobby Solo. E poi cominciarono a moltiplicarsi i ristoranti, le ville , i condomini.

In quegli anni cominciò a circolare un aneddoto che, secondo me, non è inventato ma “pura, sacrosanta verità!”

Un ragusano, che era emigrato negli Stati Uniti alcuni decenni prima, a metà degli anni sessanta, preso dalla nostalgia, pensò di trascorrere l’estate nel paese natio.

Come suole accadere in questi casi, i parenti fecero a gara per ospitarlo, per organizzare pranzi luculliani in suo onore, finchè uno di loro, che aveva realizzato il sogno di una bellissima villa a Marina,con un bagno per ogni camera da letto, più la doccia all’esterno per quando si tornava dal mare, lo invitò a trascorrervi una settimana. Lo vide piuttosto perplesso e gliene chiese il motivo. “L’americano” rispose. “Sai, mia moglie e le mie figlie sono abituate alle comodità. In questa tua casa c’è il back house (alla lettera il retro-casa, cioè il gabinetto)? “

Il parente capì che “l’americano” ricordava le villeggiature a Mazzarelli dei primi decenni del secolo…e gli rispose vagamente: “Non ti preoccupare!”

Quando entrarono nella villa hollywoodiana del congiunto il commento, non privo d’invidia, dell’emigrato fu : “Ma viautri l’America l’aviti cca!”

 

 

Laura Barone

 

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