SALVATORE FRATANTONIO VISTO DA…

Salvatore Fratantonio (Modica, 1 febbraio 1938) appartiene alla schiera di quanti, in età giovanile, si sono allontanati dalla propria terra per tentare strade nuove e sconosciute, approdando a Milano, (città nella quale ha vissuto per più di quarant’anni) e, formatasi con una decisa professionalità, sono poi ritornati sui propri passi: oggi egli divide il suo tempo alternandosi tra la sua città adottiva e Marina di Modica, sempre portando avanti una costante ricerca e producendo opere. Proprio nella città natia – era poco più che adolescente – Fratantonio ha cominciato ad appassionarsi alla pittura. Poi, il desiderio di raggiungere orizzonti più ampi l’ha spinto a prendere contatti con ambienti lontani: Roma come prima meta, Milano quale scelta più radicata. In entrambe le città studia e approfondisce le correnti dell’arte contemporanea e i movimenti che l’hanno preceduta. Sostanzialmente autodidatta, nello studio romano di Alberto Trevisan apprende i metodi di lavoro ed elabora una propria tecnica sulla quale innesta la sua attuale originalità espressiva. Dall’esperienza dei maestri dello scorso secolo – Morandi, Mafai, Toema – Fratantonio trae stimolo e indicazioni mettendo sempre a segno una specifica tipicità evidenziata da un’articolata serie di mostre collettive e personali.

 

FRATANTONIO, DOPO LA NOTTE

 

Salvatore Fratantonio ci ha da tempo introdotti a ciclicità semanticamente riassuntive della personale visione artistica e umana, offrendocele in diari periodici di immagini pittoriche, che oggi ci porge in un ventaglio di visioni arcane, immerse nella profondità misteriosa del crepuscolo. L’identificazione della propria esistenza con la natura dei colli iblei, così come con visioni urbane misteriose, pietrificate in un regno del primordio risalente alla notte dei tempi, induce a una serie di considerazioni che è interessante sintetizzare di seguito;  valutazioni, frutto di istanze etiche e intellettuali che l’artista ha indagato e che portano alla luce il processo di rivelazione di immagini naturali riferite in profili antropomorfi, segnali di un cosmo ibridato tra elementi vegetali, minerali e umani. L’ibridazione figurativa insistita tra forme umane e paesistiche, che non è estranea alla pittura dell’autore, chiarisce in termini artistici la volontà di recuperare ab origine la propria storia, le tradizioni legate alla terra e ai suoi miti remoti, rinvenuti scavando quasi fisicamente entro coordinate rappresentative di suggestione geologica. Ugualmente e con pari convinzione, Fratantonio svolge la medesima ricerca sul versante psicologico, a lui particolarmente congeniale, approdando oggi a una sorta di mistica, da intendersi nel senso etimologico, dal greco mystikòs, ovvero quella dimensione del mistero e della sacralità, da intendersi in senso laico. Le visioni crepuscolari, quasi notturne, nelle quali l’autore immerge le apparizioni della terra siciliana, intinta in una mediterraneità mentale e psichica, si presentano come specchi che inconsciamente riportano al presente la memoria culturale della tradizione filosofica greca, del pensiero antico secondo cui l’alternanza del dualismo luce-tenebre era associato alla gnoseologia, allo studio della conoscenza, alle relazioni tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Relazioni che Fratantonio, giunto alla maturità per le strade di un percorso dedicato con devozione ostinata alla pittura, alla lettura, allo studio, cerca ora di stringere, di coagulare in iconografie simbolicamente dense di metafore. La notte si carica quindi di significati correlati al grembo della madre, oltre che alla percezione ctonia della terra: madre e terra come simboli paradigmatici del ripescaggio filosofico delle origini della vita, in senso cosmico e umano. Con esplicita modalità la pittura di Fratantonio indicizza l’endiadi terra-madre nel tema della moltiplicazione della vita, rispecchiata dalla proliferazione dei carrubi, che da uno diventano due e dal loro fertile abbraccio nasce una costellazione di nuove vite disseminate sui colli. L’introversione meditativa che la maturità ha conferito all’artista, già di per sé incline al raccoglimento, ha prodotto una ricca esemplarità di cosmogonie vespertine, che non inducono, nello specifico, all’associazione tenebre-caos, ma al contrario definiscono una saggezza crepuscolare come fase di riflessione, di analisi ponderata, di penetrazione in un ignoto fecondo e carico di attese. Il regno della visione umbratile, in cui l’artista asserisce di essere stato introdotto dalla lettura di La morte di Ivan Il’ič di Tolstoj, opera che rispecchia la crisi spirituale del grande scrittore russo, si prospetta, agli effetti del nostro, nei termini e nel valore di matura sollecitazione al completamento di un processo interiore, filosofico e artistico, affrontato fin dal periodo formativo con dedizione e costanza. Un cammino lungo, che ha trovato nella natura, nei colli iblei e nel mare di Sicilia, i suoi migliori interlocutori pittorici, trasmigrando dalle giovanili visioni sonore, intrise di luce, abbagliate dai blu cobalto, dai bianchi e dagli azzurri smaltati, agli attuali densi pensieri di natura, metamorficamente galleggianti nelle gamme arcane del viola, colore della mistica, della spiritualità e della transizione. Notte che non si annulla nel buio, ma diviene sentinella di nuovi albori, di rinnovabili, profetici mattini, ai quali Fratantonio addita con esperimenti, per ora, appena accennati, tenendosi comunque pronto al recupero di nuove luci e di nuovi giorni, di promettenti conoscenze dopo la notte. (Nicoletta Colombo)

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