RIGENERARE LA DEMOCRAZIA

La nota dominante delle ultime tornate elettorali è il crescere dell’ assenteismo fino a livelli mai visti in precedenza: quando un elettore su due non vota, si può ancora pensare che non viene compromessa la democrazia in Italia ? Proviamo ad approfondire il discorso esaminando il modello di democrazia attualmente in vigore, cioè quello basato sulla elezione di rappresentanti popolari nelle assemblee legislative dei vari livelli istituzionali. Sicuramente non è in questione la legittimità dei rappresentanti eletti, nel rispetto delle regole; le elezioni sono valide, perché non è prevista una partecipazione minima per convalidare il voto, come avviene invece per i referendum. Quindi la democrazia formalmente viene rispettata, ma è così anche per la sostanza della democrazia ? Sappiamo, e ci ripetiamo costantemente, che la democrazia è “governo del popolo”; la domanda può essere formulata in questo modo: la partecipazione popolare è elemento essenziale della democrazia ? O anche: possiamo verificare le condizioni per definire democratico un assetto politico-istituzionale? I cambiamenti dell’epoca contemporanea, la globalizzazione, l’appartenenza dell’Italia all’ Unione Europea hanno forse cambiato le caratteristiche di ciò che chiamiamo democrazia? Proviamo a identificare alcune regole fondamentali che qualificano la democrazia, per verificare se attualmente esse sono rispettate.

 La prima regola della democrazia è la partecipazione: solo se la partecipazione dei cittadini alle decisioni sulla cosa pubblica è ampiamente maggioritaria si realizza effettivamente e concretamente un governo democratico, altrimenti si ha un governo che sotto le apparenze democratiche nasconde una sostanza elitaria e oligopolistica. Nella forma di democrazia rappresentativa la partecipazione si esprime in modo evidente  nel momento elettorale, ma l’autentica partecipazione popolare si ha quando i cittadini animano il dibattito politico e intervengono nella vita dei partiti (che deve anch’essa avere le caratteristiche della democrazia, per non viziare negativamente l’intero processo democratico). Possiamo osservare che il dibattito politico si è degradato negli ultimi decenni a propaganda di tifoserie divise in due campi, raramente concentrandosi sulla sostanza delle questioni. Quanto alla vita dei partiti, le oligarchie dirigenti e la legge elettorale hanno portato a un grave deficit di democrazia interna.

La seconda regola è il maturare libero delle convinzioni personali riguardo la scelta dei propri rappresentanti. Si può osservare che l’assenteismo è una libera scelta, e che l’astensione del voto lascia il campo libero a chi invece partecipa al momento elettorale e nomina i suoi rappresentanti, che a tutti gli effetti sono titolati a decidere per tutti (quindi anche per chi non vota); apparentemente ci si muove ancora dentro un sistema democratico, ma nella sostanza non è così: la degenerazione dei partiti, che si sono sempre più trasformati da mediatori tra il cittadino e le istituzioni per diventare realtà autoreferenziali, ha portato le nomenclature dei partiti ad occupare,  attraverso le istituzioni, spazi decisionali nelle strutture sociali sempre più ampi e in modo sempre più invadente.

Si è realizzata così una deformazione di democrazia rappresentativa che in molti casi trasgredisce la terza “regola” della democrazia: se il popolo è la fonte della rappresentanza e la sceglie attraverso una libera partecipazione, gli eletti devono rispondere al popolo delle politiche di governo che vengono attuate. La responsabilità verso i cittadini è la sostanza della legittimità dei rappresentanti eletti. Anche qui, dobbiamo constatare che spesso i dirigenti di partito si comportano come antichi feudatari, in modo personalistico e autoritario, si rapportano solo all’interno delle dirigenze di partito e ignorano in molti casi la volontà e la voce degli elettori.

E’ il quadro che ben conosciamo, e a cui nell’ ultimo anno molti hanno cercato di reagire esprimendo nuove forme di protesta e di partecipazione, con gli strumenti della cosiddetta “democrazia diretta”, assembleare, realizzata attraverso anche gli strumenti offerti dalle tecnologie delle reti sociali su internet. Ci sono tuttavia diversi motivi, sia tecnici (ad esempio la “selezione sociale” che si determina tra chi è in grado di usare la rete e chi no) che sostanziali (in particolare quelli legati alle modalità di comunicazione e di creazione del consenso attraverso la rete) che impongono molta attenzione nel definire la rete “di per se stessa democratica”.

Non c’è da meravigliarsi se i cittadini si rifugiano nell’assenteismo, come gesto estremo di disaffezione e di protesta, preoccupati per un futuro che si continua a manifestare critico, e per molti aspetti senza speranza in mancanza di scelte di governo efficaci, scoraggiati per l’assenza di alternative credibili e sempre più sfiduciati verso partiti impotenti a guidare il paese ma voraci nell’alimentare le proprie nomenclature. E’ purtroppo una scelta sterile, non costruttiva, quella di rinunciare ad esercitare un proprio diritto, a esprimere la propria partecipazione, a esimersi da una precisa responsabilità. Certo, un atteggiamento di impegno richiede convinzioni solide, volontà forti. O forse, come si è già visto nella storia in più epoche, e come viene indicato in un recente saggio di Padre Occhetta su Civiltà Cattolica (aprile 2013), potrebbe risultare più facile la partecipazione di molti alla vita pubblica in un contesto di “democrazia sociale”: si intende con questa una società in cui le comunità associate sono protagoniste di iniziative sul territorio per produrre iniziative economiche e per far fronte in autonomia alle situazioni di bisogno sociale che si presentano. L’ azione sociale svolta dagli imprenditori che creano lavoro, dal volontariato sociale e culturale che interviene per dare risposte concrete a problemi esistenti e creare sviluppo e benessere, dalle forme cooperative che coinvolgono i singoli anche nei processi decisionali e gestionali, e aggiungerei la fecondità educativa e aggregativa delle comunità parrocchiali e dell’associazionismo cattolico, sono molteplici esempi della capacità secolare del cattolicesimo  italiano di realizzare ospedali, scuole, banche, imprese, senza aspettare che le istituzioni provvedano, frenate come sono dalle lentezze della burocrazia, dalla macchinosità delle procedure, dagli inceppamenti dei molteplici conflitti di competenze.

Le iniziative di protagonismo sociale, nel rispetto delle regole e nello spazio democratico della sussidiarietà, sono state per i cattolici il frutto di convinzioni fondate sull’ insegnamento evangelico, e hanno dato frutti utili per l’intera società civile e per le istituzioni pubbliche. Con l’esperienza di questa storia di impegno, con un quadro di riferimento forte condensato nei principi della dottrina sociale cristiana, il cosiddetto mondo cattolico avrebbe le carte in regola per essere una risorsa effettiva per il rinnovamento della democrazia italiana e in modo particolare per rendersi promotore di democrazia sociale, come stimolo per le istituzioni e i partiti per essere strumenti di democrazia sostanziale anche nel modello della democrazia rappresentativa. Certamente questo ruolo non può essere l’appannaggio esclusivo di una specifica cultura come quella cattolica, perché è importante che si moltiplichino le iniziative e si produca il consenso necessario su un programma riformista e su un azione di governo che vinca le resistenze e attui le riforme di modernizzazione e di sviluppo di cui il Paese ha bisogno.

Solo rilanciando la partecipazione alla vita pubblica e il senso di responsabilità verso il Paese e verso le future generazioni si può pensare di riuscire a modernizzare le strutture pubbliche e a creare lavoro, che sono le emergenze principali che abbiamo davanti per pensare al futuro con maggiore serenità.

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