INTERVISTA A ENRICO PAISSAN

Dottor Paissan, Lei è stato per più di vent’anni  responsabile dell’Ufficio stampa del Consiglio Provinciale di Trento. Quali erano i suoi compiti specifici?

Nella mia funzione di responsabile dell’attività di informazione, stampa e relazioni pubbliche del Consiglio provinciale di Trento assieme ai colleghi giornalisti e alla struttura di segretaria mi sono impegnato per dare concretezza e spessore alla capacità di una istituzione ad autonomia matura di rapportarsi con i cittadini in una fase di crescente disaffezione, a dir poco, verso la politica e le stesse rappresentanze elettive. Per questo, abbiamo diversificato e modernizzato l’attività di informazione utilizzando soprattutto i news media.

Fino allo scorso marzo è stato presidente del Comitato provinciale  per le comunicazioni (Corecom), di cosa si tratta?

Il Corecom è un organo misto, in quanto alle funzioni di consulente della Provincia autonoma in materia di comunicazione aggiunge quella di organo funzionale dell’Autorità per le Comunicazioni che trasferisce a questo organismo deleghe su problematiche di interesse primario per i cittadini e per la vita civile e sociale. Basti citare la conciliazione tra i cittadini/utenti e gli operatori della comunicazione, soprattutto telefonici, la tutela dei minori sui media, il monitoraggio delle emittenti televisive locali, la gestione della cosiddetta par condicio.

Lei è stato vicepresidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, e certamente sa che spesso i giornalisti vengono accusati di essere di parte. Anzi, di dare le notizie in modo scorretto. Che ne pensa?

A mio parere è necessario distinguere nettamente tra i giornalisti che esprimono valutazioni e commenti di natura personale e la deontologia professionale che impone di separare i fatti dalle opinioni, secondo l’antico ma sempre valido dettato del giornalismo anglosassone. In altri termini, tutti i commenti sono leciti, ma non è affatto lecito dare una notizia in termini falsi o distorti o parziali. Il fatto è che nel nostro Paese gli organi di informazione, soprattutto ma non solo quelli della carta stampata, sono da sempre espressione di interessi spuri che con l’informazione hanno poco o nulla da spartire: basti pensare al “Corriere della Sera”, da sempre proiezione del cosiddetto “salotto buono della borghesia” o alla “Stampa” di Torino di proprietà della finanziaria della famiglia Agnelli o, ancora, al ”Messaggero” di Roma, il “Gazzettino” di Venezia, il “Mattino” di Napoli, tutti di proprietà della famiglia Caltagirone che di tutto si è sempre interessata fuorché di editoria.

Per diventare pubblicisti, al di là che basta leggersi il regolamento dell’Ordine dei giornalisti della propria regione, perché oggi diventare giornalisti è tanto difficile? Come ben sa, per diventare pubblicisti è necessario che vengano pubblicati, per almeno due anni, un certo numero di articoli, firmati e pagati. La nota dolente è proprio la seconda parte della regola. Non sarebbe più logico, un po’ come quando si fa tirocinio, non esserlo e, solo in seguito, poter pretendere di essere giustamente retribuiti?

Veniamo alle domande sul giornalismo e le sue regole. Il mestiere di giornalista è regolato da una legge del 1963, quella istitutiva dell’Ordine professionale, vecchia di 50 anni, un tempo preistorico  per la comunicazione, uno strumento del tutto inadeguato a misurarsi con lo straordinario sviluppo tecnologico del nostro tempo che ha fatto della comunicazione e dell’informazione il terreno sul quale si giocherà il futuro economico e i rapporti di forza nel mondo intero. Ecco perché è assolutamente necessario cambiare le norme che sin qui hanno regolato l’accesso al giornalismo, adeguandole ai mutamenti intervenuti. Proprio su questo è impegnato il Consiglio nazionale dell’Ordine, attraverso un gruppo di lavoro per la riforma che ho l’onore e la responsabilità di presiedere, impegnato a presentare in termini rapidi una proposta complessiva destinata a mutare la situazione attuale. Il problema principale riguarda il mutamento accelerato del “mercato” giornalistico tradizionale che, nonostante la prodigiosa esplosione comunicativa, si restringe sempre più per effetto dei processi di innovazione e di semplificazione tecnologica. In altri termini, la redazione – struttura storicamente fondante della professione giornalistica tradizionale -appare sempre più incapace di rappresentare un mondo molto ampio di persone che partecipano o intendono partecipare a vario titolo al giornalismo.

E’ necessario, in altri termini, disciplinare in modo diverso dall’attuale le procedure per diventare giornalisti – pubblicisti e professionisti  – per sottrarre di fatto l’accesso agli editori, piccoli o grandi che siano, che di fatto oggi hanno il potere di decidere se e chi può diventare giornalista.

Si tratta di tematiche complesse sulle quali, anche per rispetto all’intero Consiglio Nazionale dell’Ordine che ci ha dato questo incarico, non sono oggi nella condizione di dire di più, se non che il nostro lavoro sarà ultimato nel giro di alcuni mesi al massimo e che le figure fondamentali oggi previste – professionisti e pubblicisti – continueranno ad esistere, anche se muteranno profondamente le procedure di accesso a questi due elenchi.

Un altro problema: una persona o, per meglio dire, un professionista qualunque che ami scrivere e si diletti di tenere una rubrica su un giornale. Come si prospetta la situazione anche se non chiede emolumenti? Anzi proprio per questo?

Certo è, che una delle situazioni prospettate – quella della domanda – ben difficilmente potrà trovare cittadinanza, in quanto prefigurerebbe con tutta evidenza un caso di esercizio abusivo della professione.

I corsi di preparazione, obbligatori per  poter ‘accedere’ al tesserino di pubblicista, per esempio, li considera utili? Inoltre, d’ora in avanti, ogni anno si dovrà fare aggiornamenti con i corsi, appunto. Trova utile o il giornalista dovrebbe informarsi e approfondire di suo?

Per  quanto attiene ai corsi di preparazione obbligatori per accedere all’elenco dei pubblicisti, esso va considerato nell’ottica della “formazione permanente” che l’Ordine nazionale ha fatto reso obbligatoria per tutti – quindi anche per i giornalisti professionisti – e che rappresenta un’esigenza prioritaria e fondamentale per recuperare credibilità e prestigio alla professione giornalistica. Infatti si tratta di una attività prevista già dalla legge del 1963 ma che di fatto non è stata mai attuata in questo quarantennio con i risultati che sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti!

Vuole dire una frase o un detto, per i lettori di RagusaOggi?

Ai lettori di “RagusaOggi”, oltre ad un sincero e doveroso saluto augurale, vorrei suggerire di esercitare sempre e di più una attenzione critica verso il mondo e verso gli attori dell’informazione e della comunicazione, nella consapevolezza che il futuro di tutti noi – e soprattutto delle giovani generazioni – dipende i larga misura proprio dalla crescita di cittadini sempre meglio e sempre più informati.

 

         

 

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