LA CIVILTA’ DISUMANA

Le recenti festività pasquali hanno attraversato, come ogni anno, le vite più o meno annoiate della gente, che ha scelto di viversele come meglio ha gradito, mangiando o digiunando, celebrando o oziando.

Ma “la gente” è una categoria troppo generica, dai confini incerti, dentro cui hanno posto individui e gruppi e classi molto diversi fra di loro. E questo va posto in premessa, per dire quello che stiamo per dire.

La gente che ha scelto di trascorrere la sua amata pasquetta dedicandosi dal mattino alla sera alle persone che ama e ai cibi che mangia è anche la gente che ha avuto la possibilità di fruire, quello stesso giorno, del servizio offerto dai supermercati cittadini fino alle 14. Non si sa mai, oltre al carico delle ‘mpanate fatte prima, manca sempre qualcosa, fosse anche solo la rismetta dei tovaglioli colorati. E quindi, meno male che c’è l’apertura festiva!

Necessario ma appena notabile pendant di questa meravigliosa conquista della civiltà umana è il fatto che altra gente, che diremo gli operatori del consumo, per assicurare alla gente di cui sopra (che diremo i consumatori) il servizio di cui poco sotto, ha lavorato – il giorno della pasquetta – dalle 9 alle 14.

Una volta si ragionava sulla base di concetti chiari. Esistevano cose che definivamo “classi”. Oggi è più complicato: in realtà tutti, ma proprio tutti, appartengono alla megaclasse dei consumatori. Dentro la quale c’è la massaia che vive con 500€ al mese e il petroliere che vive con 500€ al minuto. Ed è talmente comodo, semplice, risolutivo pensare che non c’è differenza fra di loro, appartenendo entrambi alla “classe” dei consumatori, che qualunque ragionamento che voglia basarsi su concetti critici viene bloccato sul nascere come anacronistico, ideologico, “comunista”.

Lunedi di pasquetta si determina – ed è un fatto oggettivo – una divisione fra quelli che si godono la festa e quelli che no! E siccome apparteniamo con grande soddisfazione a un mondo che ha imparato a fottersene di ogni principio di moralità sociale e culturale, possiamo tranquillamente pensare che dobbiamo essere tutti contenti di ciò: chi va al supermercato il lunedi di pasquetta alle 11.45 perché ha dimenticato il formaggio grattugiato, e chi sta alla cassa dello stesso supermercato a battere il nostro formaggio grattugiato, acquistato alle 11.45 per pura dimenticanza.

La logica del profitto – perché non ce n’è alcuna altra in giro – è così che ci vuole: tutti rinunciatari e imbecilli. Avvitati nella nostra esistenza quotidiana rischiarata solo dai gadget delle merci divenute infinitamente più importanti delle persone che le consumano.

Trent’anni fa sarebbe stato impensabile che lavoratori salariati fossero schiavizzati nei giorni di festa per permettere a idioti distratti o pigri di fruire di servizi inutili che servono solo a fare cassa.

I padroncini delle catene alimentari ci riflettano sopra: la loro pasquetta non è più importante di quella dei loro dipendenti. Privati di una voce comune che li rappresenti e li tuteli.

Avanzo una proposta, che è il meno peggio: per l’apertura festiva si pratichi un ricarico – dichiarato alla clientela – che serva a finanziare il lavoro straordinario della metà dei commessi di un supermercato (l’altra metà, a turni, rimane a casa!). Chi va nei centri commerciali e nei supermercati di domenica sa che pagherà di più. E se proprio gli tira così, sarà felice di contribuire alle finanze dei poveri cristi che non hanno più alcun diritto ad avere una vita! Amen.

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