SCORCI DI MONDO DEANDREIANO

Fabrizio De Andrè, noto cantautore italiano, rappresenta un ideale del giusto da difendere, e che trova, nelle sue canzoni, la possibilità dell’esistenza eterna.

I suoi testi sono da considerare delle vere e proprie poesie, che inducono a riflettere e a proteggere il diverso, emarginato dalla società, perché non conforme a quei canoni morali imposti dalle potenti gerarchie.

La canzone pacifista per eccellenza è “La guerra di Piero”, nel cui testo si ritrovano potenti immagini di confronto tra un mondo in pace e un mondo in guerra: “Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati, e non più i cadaveri dei soldati, portati in braccio dalla corrente”. Le parole di questa canzone sono un capolavoro letterario, in cui si mette in evidenza come ci si uccide solo perché si ha la divisa di un altro colore, mentre al suo interno imperversa la stessa anima tormentata, che dovrà fare i conti con il proprio peccato e con il proprio inferno. La morte in battaglia è un duro colpo non solo per chi lo riceve ma anche per chi attende il suo ritorno. Piero verrà sepolto in un campo di grano, e non saranno la rosa e il tulipano a fare veglia, ma mille papaveri rossi, come il colore del sangue sparso dai fucili.

Nel ’69, quando De Andrè scrive “Il testamento di Tito”, viene visto come anacronistico, in quanto in quel periodo si combatte contro il potere e il soffocamento dei diritti civili; in realtà, si scopre dopo, De Andrè usa l’uomo sulla croce come un’allegoria, per evidenziare la lotta di un uomo contro gli abusi e i soprusi delle autorità, in nome della fratellanza e dell’uguaglianza. La parte iniziale del testo mette in evidenza come i popoli dell’est hanno già vissuto la presenza di un Dio sovrano, nella veste di un dittatore: “Non avrai altro Dio all’infuori di me, spesso mi ha fatto pensare: genti diverse dall’est dicevan che in fondo era uguale”.

Nei dieci comandamenti è stato scritto di non nominare il nome di Dio invano: De Andrè lo nomina insieme alla sua pena, che non viene ascoltata, e capisce quanto invece sia invano aspettare un Dio che lo aiuti a sanare il dolore. Si fa riferimento anche ai templi in cui si assoggettano le anime, creando schiavi e padroni, e tagliando la gola a tutti quelli che la pensano diversamente e possiedono una voce dissonante, fuori dal coro. Il quinto dice di non rubare, molti però lo hanno fatto nel nome di un Dio. Non commettere atti che siano impuri: lui ha fecondato con il seme una donna per avere un figlio, molti figli nasceranno e verranno uccisi dalla fame.

Le parole di De Andrè fanno riflettere fin nel profondo e stimolano la mente ai più luminosi ragionamenti, dato che viviamo in un sistema che ci rende schiavi e non liberi pensatori.

Il suo è un canto di ribellione, che risveglia le coscienze di verità e giustizia, donando una lente d’ingrandimento in grado di osservare una realtà resa miope, e facendo riacquistare vista allo sguardo, prima pigro ed indolente, in seguito sveglio ed indagatore.

 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it