VALUTARE LA PERICOLOSITA’ DEL CANE (seconda parte)

Il mancato bilanciamento della relazione cane-proprietario non deriva solamente dal fatto di considerare e trattare allo stesso modo un rottweiler, un pastore tedesco, un pastore maremmano, un bolognese, un beagle o un qualunque tipo di incrocio, ma anche nel considerarli e trattarli come bambini.

Un altro elemento di pericolosità infatti è rappresentato dal modo con cui il proprietario tratta il proprio cane nelle sue diverse età della vita: cucciolo, adolescente, adulto, vecchio. Indipendentemente dalla fascia di età, lo tratta sempre allo stesso modo, cioè come un piccolo bisognoso di cure e di protezione ignorandone il cambiamento evolutivo, specialmente quello che lo porta alla pubertà e poi all’età adulta, che sono caratterizzate da profonde trasformazioni non solo dimensionali e morfologiche, ma specialmente motivazionali e quindi comportamentali.

Solo quando il cane manifesta le intemperanze non controllate dell’adolescenza o l’assertività del cane maturo che è diventato adulto, il proprietario si avvede della trasformazione, ma senza comprenderla nella sua reale natura. Non è un caso che il segno di questa trasformazione ha un carattere eclatante: il morso ad un componente della famiglia!  Non ci si rende conto in definitiva che in mancanza di un interveto educativo, regolatore delle intemperanze adolescenziali e di una corretta comprensione e gestione degli “indizi di posizionamento”, che conferiscono la leadership al cane, questi non fa altro che realizzare il proprio progetto di vita: vivere in un gruppo sociale e guidarlo, se nessuno se ne prende la briga; si prende cioè “in prima persona” la responsabilità del gruppo sociale.   

La mancanza di consapevolezza fa si che il proprietario non modifichi il proprio modo di relazionarsi col proprio cane, non controbilancia adeguatamente il cambiamento fisiologico del comportamento del proprio cane, sia esso un rottweiler, un pastore tedesco, un pastore maremmano, un bolognese, un meticcio di dieci chili o un meticcio di cinquanta chili, o un bassotto, ma anche sia esso un cucciolo, un adolescente, un adulto o un cane vecchio.

È ovvio che un proprietario inconsapevole di un “cagnaccio” di cinquanta chili è più a rischio di un proprietario inconsapevole di un cane di dieci chili, ma è anche vero che ci sono cani di cinquanta chili che sono degli agnellini e cani di dieci chili che sono delle furie scatenate. Ma dobbiamo tenere anche conto delle motivazioni caratterizzanti la razza e di quelle individuali:  ci sono cani che sono interessati ad inseguire ed a sbranare, altri che non chiedono altro che di vivere in simbiosi col proprietario e non farebbero del male ad una mosca.

Solo attraverso la conoscenza della diversità del mio cane potrò comprenderlo nei suoi bisogni, nei suoi interessi, nelle sue aspettative e quindi guidarlo nella costruzione di una relazione e realizzare così  una convivenza sicura e tranquilla per lui, per gli altri e per me.

Tornando alla questione della criteriologia per valutare la pericolosità di un cane si può prendere in considerazione il criterio della razza o della taglia ma secondo me, come criterio integrativo, mentre attribuirei valenza nodale al criterio della conoscenza e della consapevolezza del proprietario, per evitare che un rottweiler sia gestito come barboncino e che un cane adulto, di qualunque razza sia o meticcio, sia trattato come un cucciolo di tre mesi.

 È pur vero tuttavia che la psicologia, come la biologia, ha mille forme di espressione e che si può incontrare tutto ed il contrario di tutto, ma per questo motivo bisogna fornire servizi qualificati al proprietario di consulenza comportamentale, sia nella fase adottiva, sia nella diagnosi e cura delle patologie comportamentali e di quelle relazionali. Bisogna evitare quindi le adozioni spinte senza un’assistenza professionale qualificata, che non tengono conto delle incognite di un convivenza abbandonata a se stessa.

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